venerdì 1 luglio 2011

Uno scambio di opinioni con Giovanna Granata sul concetto di odio e rancore

Giovanna Granata è una mia amica d'infanzia. E le voglio bene proprio in quanto tale. Ci accomunano i ricordi di belle giornate giocose al quartiere delle Sabbie. E' anche la mamma di Chiara Capelletti, una delle amministratrici pubbliche di centrodestra che più stimo, anche se milita nella sponda opposta.
Per questo decido di rispondere alla lettera che Giovanna ha voluto pubblicare su "la Provincia". Questo il suo testo:


Via a Protti: di vergognoso c’è il rancore ancora vivo
Egregio direttore,
altra protesta contro l’intitolazione della strada al baritono Aldo Protti.
“Vergognosa” è stata definita la decisione presa dal Comune di Cremona.
Ciò che veramente di vergognoso c’è in questa vicenda, è il vedere quanto odio e quanto rancore l’essere umano è capace di mostrare anche dopo tanti e tanti anni.
Ricordiamo i nostri caduti e/o morti, di qualunque parte essi siano stati, con preghiera e portiamoli nei nostri cuori, abbandonando l’odio e la vendetta.
Quale pace nel mondo, o più semplicemente nella propria comunità, riusciranno a costruire i nostri giovani con questi esempi di manifestazioni sotto la targa della via intitolata ad Aldo Protti, che mostrano ancora così tanto rancore?
Giovanna Granata


Di seguito la mia breve risposta.

Cara Giovanna,
non c'é odio né rancore in chi contesta la decisione assunta dal Comune di Cremona. Solo la volontà di mettere a punto un "valore": le vie della città vanno dedicate a cittadini meritevoli di tale onore. Protti non lo era.
In quanto baritono di fama internazionale era stata dedicata alla sua memoria una targa ricordo posta nel foyer del Teatro Ponchielli (decisione presa da una Giunta di centrosinistra).
Ciò doveva bastare.
Nel momento in cui, invece, qualche anno fa, AN di Cremona ha voluto raccogliere le firme addirittura per dedicargli una via, è bastata una piccola ricerca all'Archivio di Stato per rinvenire un documento (il Foglio Notizie militare che puoi leggere qui nel mio Blog) firmato dalla stesso Protti nel 1948. In questo documento Protti ammette (cosa mai fatta quando era in vita) di aver trascorso 10 lunghi mesi (dal luglio 1944 all'aprile 1945) in valle di Susa (esattamente ad Avigliana, capitale della Val Susa). Era sergente maggiore della RSI, ed era lassù insieme ad un nutrito numero di fascisti cremonesi, per affiancare le truppe naziste nelle azioni di guerra contro le Brigate partigiane.
In quei 10 mesi in Valle di Susa e nelle valli vicine ebbero luogo, infatti, oltre 40 rastrellamenti (uno alla settimana ! ) durante i quali caddero 2.024 cittadini (tra partigiani e civili). 15 di essi erano cremonesi.
Non è ragionevolmente possibile che Protti fosse estraneo a tutto ciò. Non era lassù in ferie. La sua presenza (insieme agli altri fascisti cremonesi) era armata e rispondeva ad una pressante esigenza di Farinacci: lavare l'onta di oltre un centinaio di giovani cremonesi che erano riusciti a sfuggire alla rete di controllo della "fascistissima" Cremona per andare in montagna a combattere per la libertà e, nello stesso tempo, rafforzare i legami di alleanza ed amicizia del Ras di Cremona con le massime gerarchie naziste, Hitler compreso.
Non si dedica una via ad un cittadino che ha avuto questa grave macchia nella sua vita. E che non ha nemmeno avuto il coraggio di ammetterlo.
Sarebbe stato sufficiente accontentarsi della targa al Ponchielli e nessuno avrebbe sollevata alcuna questione.
La destra cremonese invece ha voluto strafare. Ed ora non può pretendere che Cremona democratica ed antifascista taccia, in nome non si sa bene di quale riappacificazione.
Senza rancore e senza odio, cara Giovanna, ma con la testardaggine di chi crede ancora nei valori fondamentali della responsabilità e del rispetto della verità.
Un abbraccio,
Deo Fogliazza

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